Gli albori

La Belle Epoque è nel pieno del suo splendore. Il progresso tecnologico è inarrestabile, folle oceaniche si radunano nelle piazze per vedere le prime macchine volanti. Nasce il telefono, le vie delle città si illuminano di luce artificiale e qui scorrazzano le prime automobili. C’è pace, dopo un lungo periodo di guerre che hanno portato l’Unità d’Italia.
I bar diventano i nuovi luoghi di aggregazione, dopo i cortili delle case dove ci si radunava a ballare al suono di una fisarmonica. Qui ci si conosce, si parla di affari e ci si rilassa dopo turni di lavoro massacranti.
Non ci sono più vincoli nobiliari e culturali, l’accesso è consentito a tutti, comprese le donne, che influenzeranno non poco con le loro scelte la produzione dei liquoristi.

L’ora del vermouth.

A fine Ottocento si celebra un rito laico, l’Ora del Vermouth, la città si ferma, smette di lavorare e si gode la vita. Ce lo racconta De Amicis nel suo libro “Le tre capitali” in un interessante spaccato sulla società torinese di allora.
Puntuali gli abitanti della prima capitale d’Italia, e non solo loro, alle sette di sera, si riuniscono nei bar della città per sorbire un aperitivo accompagnato da qualche stuzzichino salato e un dolcetto.

La città vive, dopo il trauma dello spostamento della capitale a Roma, una nuova giovinezza.
Le vendite dei liquori crescono, Torino conta, dopo la metà dell’Ottocento, più di quaranta liquoristi e vermuttisti, all’interno della sua cinta daziale, ma non sono sufficienti a coprire le richieste, provenienti soprattutto dall’estero. Il vermouth è diventato uno degli elementi portanti della cultura dei cocktail, nata in America e poi esportata nel resto del mondo, ed in Europa, dopo la fine della Prima Guerra mondiale. Sono decine e decine le miscele dove compare, non c’è menù di hotel che non lo contenga. Il risultato è spettacolare, ad inizio Novecento sono ben undici milioni di litri esportati in ben centocinquanta paesi nel mondo.

La nascita della Trinchieri

La Trinchieri si inserisce in questo contesto ed è una storia tipicamente italiana ed include in essa i tratti tipici dei primi decenni del Novecento, quando intraprendenza e duro lavoro erano il denominatore comune dell’imprenditoria torinese. Una classe forgiata dalle guerre ed ispirata dai modelli vincenti della vicina Francia, con Cognac e Champagne, dove spesso ci si recava per studiare. La famiglia Trinchieri possiede alcuni ristoranti nel centro di Torino e, secondo un costume dell’epoca, hanno degli spazi adibiti ad opificio produttivo. Le ragioni sono prettamente economiche, legate al costo del vetro ed alla fabbricazione delle bottiglie. Documenti e fatture attestano che liquori e vermouth delle maggiori Case sono venduti in barili che poi venivano imbottigliati dai clienti nelle cantine dei locali. Le bottiglie etichettate sono spedite con il primo ordine, e sono riempite con cura, più volte, dagli stessi baristi.

Spesso questi prodotti sono affiancati da quelli artigianali elaborati dai titolari, divenendo loro stessi dei brand riconosciuti dalla clientela. Un margine operativo migliore e una fidelizzazione della clientela sono alla base di questa scelta, inoltre una fiorente industria erboristica ed una decina di aromatieri attivi sulla città assicurano materie prime di ottima qualità.

Libretti di appunti e di ricette scritti a mano, con magnifiche calligrafie, sono una caratteristica del periodo. Qui compaiono numerose ricette dei principali liquori e vini aromatizzati in voga nel periodo, come i rosoli, vermouth e chinati, dove il barista aggiunge il suo tocco personale. Questi preziosi volumetti sono i testimoni finali dell’enorme tradizione orale italiana, dove ogni famiglia aveva le proprie ricette tramandate di padre in figlio. E molte di queste ricette diventano prodotti famosi in tutto il mondo.

Il successo dei prodotti Trinchieri cresce così tanto che ad ad un certo punto gli spazi retrostanti la sala da pranzo non bastano più. Annibale decide così di aprire un magazzino dove ai prodotti necessari ai ristoranti, si affiancano i liquori di produzione propria. I locali sono stati un’ottima palestra dove affinare le ricette, che oramai rodate, sono pronte al grande salto del mercato globale. La famiglia non fa mistero della sua vocazione enologica, il magazzino infatti funge anche da rivendita per altri locali. Da grande selezionatore e conoscitore del vino non può che nascere un ottimo Vermouth ed un Chinato, spesso declinato anche nella preziosa veste del Barolo, vero cavallo di battaglia dell’azienda. I vini amaricanti hanno un grosso successo ed il loro doppio ruolo, medicinale e voluttuario, frutta ottime vendite.

Lo stesso Trinchieri lo pubblicizza come “Poderoso ricostituente, stimola l’appetito e facilita la digestione”

Le esportazioni e l’attività internazionale

Se Torino è una delle naturali roccaforti dell’azienda, sono però le esportazioni ad essere uno dei punti di forza, che ha nel Sud America, soprattutto in Argentina, il suo più grande mercato.
L’emigrazione piemontese verso questo paese inizia nel 1837 e procedette a successive ondate nel 1870 fino ai primi del Novecento. Le continue guerre dello Regno di Savoia, tasse e carestie spingono centinaia di migliaia di piemontesi a lasciare la terra natia, che però rimane ben impressa sulla loro pelle. E’ infatti la nostalgia di casa con il conseguente attaccamento alle tradizioni l’elemento fondamentale per il successo dei prodotti italiani in questo paese. E il vino chinato e vermouth non fanno eccezione. Moltissime aziende aprono succursali sudamericane per avere una solida base, e risparmi produttivi, per le ottime vendite in loco.
E anche per Trinchieri è lo stesso.
Il prodotto più richiesto e pubblicizzato è, ancora una volta, il Vino Chinato.
Se il vermouth è il prodotto di maggior prestigio elaborato, supportato anche da magnifiche pubblicità, in realtà è il Vino Chinato a dare i maggiori soddisfazioni all’azienda in queste nazione, ed anche in Italia.

La crisi del Novecento e la chiusura

Nonostante questi successi, alcune nuvole si addensano all’orizzonte. La Prima guerra mondiale, anche se non porta distruzioni a Torino, rappresenta comunque un primo fermo alle vendite che poco prima apparivano inarrestabili. Con moltissimi uomini al fronte mancano le vendite nei locali e soprattutto la mano d’opera nelle vigne, con un conseguente calo della produzione. E non è certo l’uso medico che si fece dei vini chinati al fronte che coprire le mancate vendite.

A questo si deve aggiungere la devastante epidemia di Spagnola, che colpisce la città che viene decimata anche nella forza lavoro.

Il Proibizionismo americano, che ha inizio nel 1919, mina ulteriormente le vendite di quell’immenso mercato e, anche se non è il principale, è comunque molto importante, soprattutto per i vini piemontesi, che godevano di ampia rinomanza in loco. I vini alla china talvolta vengono venduti in farmacia, come rimedi medici, pertanto esclusi dal divieto di consumo, ma con numeri ben lontani dai precedenti. Ma grazie a questo escamotage si può sopravvivere. Nonostante tutto Trinchieri continua la sua attività, superando, non senza difficoltà anche la distruzione della Seconda guerra mondiale.

Torino, polo industriale, con la Fiat impegnata a costruire aerei ed autoblindo, è la città più bombardata d’Italia, con pesanti ricadute anche sui civili e le attività commerciali. Centro e periferia subiscono gravi danni, e solo la fortuna evita che lo stabilimento di via Tesso venga distrutto. Le bombe cadono poco lontano e rimane solo la paura. Ma non sono le guerre con le armi a determinare la chiusura della Trinchieri, ma quelle commerciali, all’indomani della fine delle ostilità.

Con la nascita della televisione e dei budget pubblicitari, la comunicazione dei marchi cambia completamente. Carosello ed i primi spot fanno nascere folle di consumatori, che dai prodotti locali, di territorio, tipici, iniziano a desiderare i marchi della televisione, pubblicizzati dai divi del cinema italiano. Cambiano gli stili di consumo, i giovani hanno nuovi luoghi di ritrovo, le discoteche dove si bevono cocktail a base di distillati stranieri allungati con sode aromatizzate. Whisky, gin e vodka sono di gran moda, la quale è influenzata dallo stile di vita americano dove vermouth, vini aromatizzati e grappa non hanno posto. Sono prodotti vecchi e per vecchi, appartengono al periodo che, hippie e Generation X, vogliono cancellare e così sarà.

Trinchieri, così come un centinaio di altre aziende, torinesi e non, di vermouth, amari e liquori chiuderà nei due decenni seguenti alla fine della guerra. La concorrenza delle grandi aziende ed il calo delle vendite sarà fatale all’azienda.

La rinascita

Ma oggi questo oblio è finito. Complice il ritorno della miscelazione classica, dal 2010 si è assistito ad un progressivo ritorno del vermouth e dei vini aromatizzati in genere.
Il recupero delle tradizioni, la voglia di italianità, la ricerca del territorio hanno fatto si che il vermouth sia ritornato sugli scaffali dei bar e nelle case degli italiani.
Trinchieri ritorna così in vita con una ricetta ispirata al suo glorioso passato, per riportare l’eccellenza italiana nel mondo.